IL
DURO PERIODO MEDIOEVALE(2)
I Maccagnesi difendono la loro indipendenza da Milano
I grossi comuni italiani dopo la vittoria sull’imperatore
estesero, come è noto, poco a poco il loro dominio sul territorio
circostante combattendo coloro che si opponevano alla loro espansione.
Maccagno si trovò un bel giorno alle porte i Milanesi
divenuti padroni del contado del Seprio che giungeva allora sino alla Tresa e
forse oltre.
Per un
certo numero di anni non vi furono guai, ma improvvisamente nel 1279 i
Milanesi riesaminando i catasti del proprio comune, trovatisi quel paesino a
portata di mano lo considerarono senz’altro dei loro, e pregarono i
dirigenti del villaggio d’inviare l’inventario dei propri beni a scopo
evidentemente fiscale.
Diedero l’incarico
a notai di esaminare una serie di documenti ufficiali e di riferire per
scritto, se per caso in essi si facesse cenno della sudditanza di Maccagno da
Milano, ma non trovarono nulla.
« A Lacu
Majori $icut pergit flumen Ticini usque a Padregnanum et a Padregnano usque ad
Cerrum de Parabiago, et a Parabiago usque ad Karon, et a Karon usque flumen
Sevesi et a Seveso usque ad flumen Trexae sicut Trexa refluit in lacu Majori
Ma non
ancora soddisfatti vollero controllare se tali confini fossero uguali a quelli
riportati in altri documenti e li confrontarono con la descrizione fattane
nell’atto della « Concordia facta inter Federicum
Imperatorem et Mediolanenses », non basta, esaminarono anche un
documento del 1237 in cui Guido Mandelli investiva un Lanfranco Francesco di
Maccagno della « Gualdamagnia » ossia «
de totto illo
ministerio Gualdamagniae quae et quod pertinei vel pertinere posset ullo modo
vél tempore curti de Machaneo », ascoltarono
i testimoni prodotti dai Maccagnesi a sostegno della loro affermazioni,
esaminarono la relazione stesa dal notaio Andeloi (?) Bocardo appositamente inviato a Maccagno dal giudice Nicolino
della Torre per constatare la verità di ciò che dicevano i Maccagnesi.
Questi riferì che il paese è a circa tre miglia al di là della Tresa e
quindi oltre i confini Sepriesi e per meglio chiarire il suo concetto, disse
che non si poteva accedere a quel luogo se non oltrepassando tale fiume: « Ad
dictum locum ire non potest nisi transeundum flumen Trexae et lacum Majorem ».
Il
contado del Seprio già un tempo apparteneva alla giurisdizione milanese ed il
provare che si era oltre ai suoi confini dimostrava che nel passato non si era
mai stati sottoposti a Milano.
Questa
lunga serie di testimonianze favorevoli ai Maccagnesi convinse i giudici
della verità di quanto i postulanti sostenevano, essi infatti conclusero: « Dicimus
et pronuntiamus et per sententia declaramus » che il comune e gli uomini del luogo di
Maccagno non potevano essere costretti dai governanti milanesi attuali e
futuri a consegnare inventario alcuno dei loro beni.
Storia di un antico detto
SIAMO ora intorno al 1410. Sospendiamo un momento la
narrazione storica e ritorniamo alla nonnina che conosce le leggende del
paese.
E’ l’epoca in cui i famosi fratelli Mazzarditi, dopo aver
tiranneggiato Cannobio, insediatisi sugli isolotti emergenti dalle acque del
lago di fronte a Cannero, sui quali ora sorgono i famosi castelli,
terrorizzavano le popolazioni costiere, aggredivano i navigli, imponevano
taglie. Due poveri popolani della Valveddasca, che si recavano a vendere del
bestiame a Luino, furono assaliti e derubati nelle vicinanze della città;
Angera, la Valtravaglia e Cannobio subirono più volte le loro violenze; una
notte eccoli a Maccagno Inferiore.
« Va, va
a Maccagno che ti insegneranno la buona creanza! ».
Il momento più
drammatico della storia Maccagnese
GIUNGIAMO
ora al momento più drammatico della storia maccagnese.
L’11 luglio 1438 il duca di Milano, Filippo Maria Visconti,
concedeva la Pieve della Val Travaglia in feudo al Conte Franchino Rusca.
Detta
Pieve comprendeva ecclesiasticamente anche Maccagno Inferiore (vedi a pag.
146) e al Conte Rusca non parve quindi ingiusto ritenere il paese suo possesso
e pretendervi dei tributi, ma si trovò di fronte l’opposizione dei
Maccagnesi per nulla intimoriti dal suo nome altisonante.
Era egli
di nobile famiglia comasca, erede del feudo di Balerna e di parte della valle
di Lugano. Spogliato da Filippo Maria Visconti, duca di Milano, dei beni
ereditari, ebbe poi dallo stesso, verso la fine del luglio 1432, l’investitura
di Arona e nel 1438 quella della Valtravaglia. Nel 1439, in cambio di Arona,
ebbe Locarno con la pieve e le valli retrostanti ed il titolo di conte di
Locarno. Era uomo d’armi. Alla morte di Filippo Maria Visconti assoldò un
esercito e tentò di riprendere i possessi già goduti dalla sua famiglia nel
Comasco. Mise a sacco Porlezza col suo castello, possesso dei Milanesi, ma fu
sconfitto presso Chiasso da Giovanni della Noce governatore di Como,
rappresentante della repubblica formatasi a Milàno alla morte del duca
sopracitato. Il Rusca ritentò allora la sorte sulle rive del Lario, ma,
nuovamente vinto, fu inseguito sino al castello di Locarno, dove fu assediato
invano.
Ma torniamo indietro.
I
Maccagnesi alle pressioni del Rusca si rivolgevano al duca Filippo Maria
Visconti perchè salvaguardasse i loro diritti. Il duca incaricava con lettera
in data 16 dicembre 1438 un certo Todeschino (Camerario dell’Ufficio delle
Entrate Straordinarie del Ducato) di esaminare la petizione presentata dai
supplicanti e il Todeschino iniziava il suo lavoro.
« quod
cum pluribus iam exactis mensibus comes Franchinus de Rusconis qui ab eadem
dominatione vostra concessionem habere dicitur de totta plebe Travaliae
offitiales sui vellent ipsos exponentes sibi subjcere et ad obedentia suam
reducere tamquam esset de Plebe Travaliae..»
Il Todeschino ed i suoi aiutanti iniziarono il
solito esame dei documenti comprovanti l’indipendenza di Maccagno: la
sentenza del 1279,quella
Al Duca
non rimase altro che approvare quanto i suoi magistrati avevano onestamente
concluso ed essi confermavano la loro decisione con una lettera in data 4 luglio 1441 dando disposizioni
perchè si avvisassero, secondo il solito, gli interessati. Il Rusca si mise
tranquillo, ma covò nell’animo la rivincita. Nel 1447 il duca Filippo Maria
moriva; succedeva l’effimera Repubblica Ambrosiana, poi Francesco Sforza.
Ed allora agì di prepotenza.
Siamo
intorno al 1459. Indispettito, fece nottetempo circondare il paese dai suoi
sgherri capeggiati dall’ufficiale di Luino, e trasse « con la
forza » prigionieri
i maggiorenti del villaggio nelle carceri del suo capoluogo. lvi li trattenne
32 giorni e non li lasciò liberi fino a quando si piegarono a prestare
giuramento di fedeltà. Non solo, ma li costrinse a pagare « una
tazza di 15 once » di
monete d’argento « ambrosino » quale tributo, ed avendo essi ricusato l’anno
successivo di pagarla nuovamente per «
l’estrema
paupertate del luogo » e per l’ingiustizia della pretesa,
fece imprigionare daccapo gli esponenti del paese e li tenne in carcere per
altri otto giorni, ossia fino a quando giurarono che si sarebbero assoggettati
a tale censo annuale. Infine non fidandosi del giuramento fatto, li obbligò a
convalidare con un atto notarile quanto avevano giurato.
E’
facile immaginare lo sdegno dei Maccagnesi, il parlottare, le ansie, i
propositi di vendetta. Ma che potevano fare contro un signore così potente?
Di fronte a tanta decisione e tanto dolore il Duca non poteva
restare indifferente.
Scosso
dalle loro veementi proteste « vehementius insistent et flagitent »,. delegò certi
Raffaele Busseto e Giovanni Arcimboldi a prendere in esame la petizione dei
Maccagnesi ed a controllare la veridicità dei documenti ad essa allegati.
Costoro nel febbraio del 1463 dichiaravano che ciò che i Maccagnesi
sostenevano rispondeva al vero ed al giusto ed il Duca il 15 luglio 1464, dopo
un altro accurato esame della questione, ordinava al Rusca di lasciare in pace
Maccagno, non solo, ma lo multava di dieci ducati d’oro da rimborsarsi ai
Maccagnesi: « dicimus,
sententiamus pronuntiamus... et declaramus dictum Commune et homines Machanaei
Inferiore tamquam liberos exemptos et separatos a Communitate Mediolani et a
quocumque alio loco NON POTUISSE NECQUE DEBUISSE... URGERI PER PRAEDICTUM
Com. Franchinum nec alio pro eo... »
(Arch. D.).
Ma per
udire direttamente le lamentele dei nostri lontani antenati vale la pena di
riportare la loro accorata petizione che inizia con un azzeccatissimo « lacrimosamente
» ben denotante il loro triste stato d’animo:
Ill.mo Principe et eccell.mo
Sig.
LACRIMOSAMENTE sono costretti a
ricorrere al fonte di Giustizia di V. Ecc., Commune et Homini di Machagno di
sotto che quamvis la detta terra e detti homini anni duecento passati e più siano sempre
stati se parati ed esenti da ogni carico così dalla città di Milano come
etiandio da ogni altro luogho, ma solum siano stati sottoposti a
certi nobili da Mandello come appare chiaramente per infiniti suoi
privilegi concessioni et altre diverse ragioni; tamen il Magnifico Go:
Franchino fin de anno 1438 co’ ogni studio e sollecitudine sforzasse ponere
li detti in sue subiectione e gravarli di diversi carichi contro il solito e
le dette soi ragioni.., furono const
retti ricorrere all’Eccellenza della felice bona memoria Ill. Duca Philippo
et avendo inteso la prelibata E. la
loro lamenta per scripto del sp.le Thodeschino fece far Commissione sopra di ciò alli sp.li maestri suoi extra
ordinari vocati vocandis dovessero èt il suo parere riferiscano al predetto
Thodeschino... alti quali Magistrati per
dui anni il predetto Go Franchino per lettigio e varie spese li condusse et,
dum re intelecta, li p.ti magistrati fecero
suo giudizio qual mandarono al p.to Todeschino qual giudizio è di q.to effetto, cioè che ducendo anni passati il detto
loco di Machagio è stato loco separato et da per se e Corte Regale et exempto
da ciascuno carico così dalla città di Milano come etiandio (da ciascun
altro loco, ma che è stato e di presente subiecto a certi nobili di Mandello,
per vigore de antiquissimi Previleggy imperiali ad essi da Mandello, Co/e et
Homini concessi et che a tanto tempore citra che non è memoria in contrario detta terra Comune et Homini per exempti
separati et subiecti a detti da Mandello sono tenuti reputati et preservati
fin ad hora presente come più largamente si conviene in esso giudizio e
relatione; Dat. Mlni a di p.° de Julio 1440.
(4)
Ma non solo verso Maccagno Inf. il
Rusca agì con prepotenza, stancò anche i sudditi dell’intera Valtravaglia,
tanto che questi in un’adunanza (a cui parteciparono circa 300 capi
famiglia) indetta da un messo del Duca di Milano il 20 novembre 1463 facevano
chiaramente presente « che
non volevano il conte Franchino Ruscha per suo signore et che più presto (?)
habandonavano il paese » e
si rifiutavano di accettarè il podestà proposto dal suddetto conte « et
quaso li menazano de farli male »
(da una lettera dell’incaricato del Duca conservata
nel Carteggio diplomatico dell’A.S.M.).
E
ancora una leggenda
NATURALMENTE la fantasia s’impossessò dell’accaduto e ne
conservò memoria; conviene perciò cedere ancora una volta la parola alla
nostra gentile vecchina che sa molte cose sulla storia del paese.
« Viveva un tempo, essa racconta,
un cattivo Signore nel castello di Travaglio.
Quando l’alto Signore, Il
conte Franchino, usciva a visitare le sue terre, I sudditi che incontrava s’inchinavano
fino a terra, ma egli passava altero sul suo cavallo scalpitante senza
degnarli dl uno sguardo.
I suoi
possedimenti si stendevano su quasi tutto il Lago Maggiore e i suoi ufficiali
taglieggiavano con prepotenza gli abitanti dei paesi e i mercanti che
scendevano dalle vallate verso le fiere del piano.
Un giorno si vide una grossa
barca dirigersi alla volta di Maccagno Inferiore.
— Dov’è il sindaco di Maccagno? — chiede —
— Gli additano la sede del comune,
che sorgeva fra le case e subito vi si dirige seguito dai suoi.
Pervenuto
al palazzo uno scudiero dà fiato ad una tromba e poi a gran voce chiama il
sindaco.
Questi
scende sulla via e si muove affabilmente incontro al capitano e chiede le
ragioni della visita.
Quegli con gesto solenne
estrae da sotto il mantello una pergamena e svolgendola lentamente comincia
con voce imperiosa a leggere.
Cortesemente
il sindaco fa notare che il conte non può pretendere ciò perchè Maccagno
Inferiore è Corte regale e non riconosce altro’ signore oltre a quello
designatogli dall’imperatore.
L’altero
ufficiale risponde che nella zona non vi è altro signore che il conte
Franchino e che si deve ubbidire.
Nuova
cortese obbiezione del sindaco il quale ricorda che diplomi imperiali
salvaguardano il paese da ogni soggezione, ma il capitano interrompe il suo
dire e calcando bene la voce ribadisce che quelli. sono gli ordini del conte.
Intanto attirata dall’insolito
fatto la gente del paese è uscita dalle case e s’è fatta intorno ad
ascoltare silenziosa. Un’espressione di sdegno s’accresce di minuto in
minuto sul volto di tutti.
Il capitano e gli sgherri metton mano alle spade
e ai pugnali, ma la folla scatta verso di loro e li travolge, finirebbero male
se il sindaco inframmettendosi non calmasse gli animi.
L’accaduto
turba gli abitanti, si sa che il conte Franchino è feroce e vendicativo e che
la sua reazione non mancherà.
Si sbarrano vie e porte e si
attende vigilando il passar dei giorni.
Scendono in silenzio uomini
armati che si raggruppano in squadre e per vie diverse muovono a sbarrare le
strade uscenti dal paese.
Chi tenta la fuga s’imbatte
nelle squadre che sbarrano le contrade. Solo pochi giovani agili, per la via
dei tetti, riescono a raggiungere la costa del monte sovrastante il paese e a
portarsi veloci alla frazione Venero ove sostano a spiare cosa succede.
Il sindaco è arrestato e con lui i consoli, gli
ufficiali del comune, i campari ed i maggiorenti.
Legati
con catene vengono trascinati alle barche, fatti salire e condotti al castello
del conte, ove sono gettati in orribili celle.
Forti dei
diplomi imperiali vengono a chiedere giustizia.
Udito il
motivo dei loro affanni, udite le loro commoventi parole di fedeltà e
sudditanza, riconosciuta la validità dei loro argomenti, constatata la loro
fermezza ed il loro coraggio, l’imperatore si smuove. Dà ordini ad un messo
di raggiungere velocemente la Valtravaglia: il conte Franchino rilasci il
sindaco e gli uomini di Maccagno e non molesti più quella terra altrimenti
gliene verrà male.
E il conte
Franchino deve chinare la testa, ridare la libertà ai prigionieri, rispettare
i privilegi imperiali.
Immaginatevi
il giubilo dei Maccagnesi al ritorno dei loro cari. Si suonano le campane, si
dà fiato alle trombe, sulla torre s’innalza il gonfalone e di notte gran
fuochi sono accesi sul monte e sulla riva del lago per ricordare ai paesi
circostanti che Maccagno Inferiore è Corte Regale degli Imperatori,
indipendente da ogni soggezione, terra per sè.