IL
PERIODO AUREO DELLA STORIA MACCAGNESE
Nuovi privilegi.
Si concede di tener mercato a
Maccagno e a Luino
FINALMENTE l’irrequieto, difficile, duro medioevo volse al termine
e s’iniziò un periodo di vita meno insidioso pel nostro feudo imperiale.
Non cessarono però le lotte e i litigi. Non sappiamo se gli Svizzeri che
intorno al 1512 occuparono la zona in seguito alle guerre fra gli Sforzeschi e
Francesco I° abbiano
portato danni al paese. Se ne andarono intorno al 1526 avendo ottenuto da
Carlo V la permuta del Luinese con la pieve di Balema che poi rimase al Canton
Ticino.
Nel 1530 si stabilì in parte dell’Italia
l’autorità imperiale e poco dopo l’imperatore Carlo V divenne signore del
ducato di Milano. Ciò segnò per Maccagno Inferiore un’era più felice e
pei suoi Signori la concessione di nuovi privilegi. Carlo V con diploma datato
da Genova il 4 novembre 1536, ben consapevole della nobiltà e fedeltà dei
Mandelli, riconfermava a Giacomo Mandelli ed eredi, gli antichi diritti e lo
proclamava conte del Sacro Romano Impero: « praefatum Jacobum, filiosque ejus,
ac haeredes, et successores. Comites nominari, et appellari debere, et tamquam
Sacri Romani Imperij Comitem et Comites teneri » (vedi tav. V).
Riassumendo, il
mercato era concesso per merci, animali, biade di ogni specie; i partecipanti
sia del paese e sia forestieri e le loro merci, erano sotto la salvaguardia e
la protezione diretta dell’imperatore, esenti da qualsiasi tassa ed
imposizione. Nessuno avrebbe potuto arrestare, impedire la via, e il passaggio
ai mercanti. Ciò favorì assai il mercato, ma fu anche causa dell’ostilità
dei governanti lombardi a cui poco piacque quello sfuggir a pedaggi e gabelle,
come vedremo.
Benchè il mercato
fosse stato concesso ai Mandelli per i quali costituì un’indubbia fonte di
guadagno portando loro il diritto. di riscuotere una tassa mercimoniale (vedi
a pag. 46), non pochi vantaggi economici vennero anche al paese: maggior
possibilità di lavoro, potenziamento della vita commerciale, una più larga
circolazione di denaro ecc..
Alcuni anni dopo i Luinesi, ben
consapevoli dei benefici che l’apertura di un mercato avrebbe portato anche
nel loro borgo, prendevano contatto col conte Giacomo affinchè volesse
compiacersi di trattare la possibilità di istituire un mercato simile nel
tipo é nei diritti a quello di Maccagno, anche a Luino, ed il conte fu lieto
di favorirli (5).
(5) I
luinesi già nell’ottobre 1475, mediante il loro feudatario Giovanni Rusca,
avevano chiesto di poter tenere mercato nel loro borgo, ma i Maestri delle
entrate ducali, in data 4 novembre dello stesso anno, avevano, consigliato il
duca a non concedere tale autorizzazione perchè sarebbe riuscita di danno
alle entrate dello stato « siamo concorsi in questa sentenza:
che concedendose dicta facultate ad dicta terra de Luino ne segueria grande
jactura di datij... et de l’altra parte ne resultaria, anchora grande
incommoditate et danno al altre terre circumstanti ».
(A.S.M. Cartegg.
dipiom.)
Il Mandelli rivoltosi nuovamente a Carlo V
otteneva l’autorizzazione di poter tener mercato sia a Maccagno e sia a
Luino: una settimana in un luogo e la settimana successiva nell’altro. L’imperatore
gli rilasciava il necessario diploma, ancora da Genova, il 5 settembre 1541.
Il giorno scelto per il mercato fu il
mercoledì e tale scelta ottenne il benestare del Presidente e dei Maestri
delle Regie Entrate ducali previo accurato esame dei privilegio concesso da
Carlo V e dei diplomi spediti successivamente l’anno 1546.
Ciò segnò il
declino del suo mercato.
La Lombardia da
tempo era passata sotto il dominio dei re di Spagna e la situazione non era
più favorevole come quando imperava Carlo V.
Il conte Giacomo, subentrato nel possesso
del feudo nel 1613, assai danneggiato dalle disposizioni dei governatori di
Milano sopra accennate, ricorreva intorno al 1633 a sua Maestà perchè
fossero levati gli impedimenti posti al normale funzionamento del mercato
maccagnese e chiedeva, qualora ciò non fosse possibile, di essere almeno
compensato del danno che gliene veniva.
« Il conte Jacomo Mandelli Milanese
fidel. servitore di V. M. dice, che l’anno 1536 mentre lo stato di Milano
per la morte di Francesco Secondo Sforza ultimo duca senza descendenti maschi
legittimi era devoluto all’Imperio, l’Invitissimo imperatore Carlo
Quinto bisavo di V. M., concesse al quondam conte Jacomo Mandelli, avo del
supplicante, la facoltà di far un
mercato de grani, et d’ogni altra sorte de merci un giorno d’ogni
settimana nella terra di Maccagno suo Feudo Imperiale e Corte Regale
posseduto per il corso de più di 500 anni dai suoi maggiori; e la Cesarea
Maestà nel privilegio professò di far tal concessione particolarmente in
riguardo dei danni patiti e spese fatte dal conte in servitio dell’Imperio e
commandò sotto gravi pene a tutti li sudditi suoi mediati, et immediati, non
impedire la libera andata a qualunque persona al detto mercato con le sue
merci, et biade liberamente, et senza pagamento di alcuna gravezza, come appare dal medemo
privilegio che s’essibisce.
Usò il conte del privilegio con herettione del mercato, che si fece per molto tempo con grandissima sua utilità, non solamente
mentre lo Stato di Milano stette sotto il dominio immediato dell’Imperio, ma
anche dopo che fu investito nella Maestà del Re D. Filippo Secondo Avo di
V. M.
Ma dopo col progresso del tempo variandosi le cose dai
Governatori et altri Ministri di V.M. fu
prohibita la estrattione delle biade da questo stato, ed anche il transito per esso ad altri luoghi, con editti rigorosissimi per li quali restò impedito il commercio anco con
Maccagno, quale per le ragioni di sopra espresse doveva sempre esser
eccettuato nei suddetti divieti, per il che resta affatto distrutto il
mercato. E sebene tanto il padre del supplicante quanto esso facessero istanza
più volte che si levassero questi impedimenti con dichiarare, che tali gride
ed editti non comprendevano il luogho di Maccagno, attesa l’obbligatione
imposta dall’imperatore di patir l’estrattione e transito delle biade ed
altre merci, mostrando il grande danno
che da ciò li veniva, tuttavolta non si pigliò deliheratione alcuna
dandolesi sempre speranza di provisione.
Finalmente il supplicante hebbe ricorso con suo memoriale al
Serenissimo Cardinal Infante mentre governava questo Stato, con presentarli
lettere della Maestà Cesarea scritte sopra questo negotio. E sua Altezza Reale incaricò ad ambidue li
Migistrati ordinario e straordinario, a considerare la dimanda del supplicante
intorno alla restituzione di esso mercato, et risarcimento de danni patiti
per gli impedimenti passati, et farne relatione col suo parere.
Dalle relationi fatte da detti Magistrati ai Governatori
successi a S.A.R. in questo stato, e di presente mandate a V.M. dal Marchese
di Leganes, consta essersi dal Collegio
de fiscali due volte sopra questo negotio considerato et da ambidue li
Magistrati, che per giustitia non si
può negare al supplicante la restitutione del mercato overo ricompensa del
danno, che per la privatione d’esso egli patisce, et ha patito per il
passato, quando V.M. per altri rispetti stimi non convenir restituire il
mercato; tanto più che questo danno del
supplicante ridonda in utile di V.M. per molti capi. Poichè con la
distruttione del mercato di Maccagno si sono introdotti li mercati di intra
e Pallanza ne quali si provvedono de grani tutti li paesi de Svizzeri
posti di qua dai Monti et altre terre di questo stato confinanti al Lago
Maggiore, ma questi mercati cessarebbero
tutti quando si rimettesse quello di Maccagno, per esser posto più vicino
a detti paesi, onde con maggior comodità andarebbero tutti quei popoli a
Maccagno, et i mercanti più volentieri
colà condurrebbero i grani per haver maggior smaltimento, oltre passar essenti in virtù del privilegio
imperiale, da tutte le gabelle, che pagano per li grani, che conducono ad
Intra e Pallanza a ragione de L. 3.18.3
per ciascheduna soma di riso, et L. 1.13.3 per soma di
formento.
Ma oltre le dette
gabelle de grani V.M. ricava l’utile del datio dell’altre merci, dell’accrescimento
del datio del pane, vino et carne dei luoghi di Intra e Pallanza, e delle
tratte de grani che messi insieme danno all’erario di V.M. molte migliaia de
scudi ogn’anno, e se i Tribunali nelle
sue relationi allegano per ragione di non restituir il mercato di Maccagno, che
a V.M. sia espediente per la lega delli Svizzeri con questo stato, di poter
lei sola dar grani a questa natione, che per altro si provvedrebbero a
Maccagno, questo commodo proviene a V.M. col danno del supplicante, che ne
resta privato, et quale facendosi il
mercato caverebbe almeno trenta soldi per ciascheduno moggio di grano, che si
vendesse, et se ne smaltirebbero per lo meno trentamille moggia l’anno, et
il datio del vino di Maccagno si accrescerebbe fino alla somma di Lire mille
ottocento l’anno, e quello della carne fino a lire mille e duecento; come
resta provato sì dal detto de testimonij legittimamente esaminati, che
tutti concordano in questo numero minore, sì anche da quello che si fa in
Intra e Palanza, si finalmente dal sito del luogho, che rende la prova
indutatata, et dall’essentione
sopraddetta, che viene data dal
privilegio et sempre osservata, mentre è durato il mercato, come consta
dalli atti della Cancelleria delle biade del Magistrato straordinario, nei
quali non si è trovata memoria in contrario per quanta diligentia habbia
fatto quel Tribunale. Si aggiunge l’accrescimento della populatione, che
causerebbe il mercato, e porta seco commodi importantissimi. Ma in questo caso
deve ragionevolmente tanto più persuadersi il supplicante di ottenere da V.M. questa giustitia, che da lui sarà stimata per
gratia, quanto che egli è nato di
famiglia congiunta in affinità con l’augustissirna Casa d’Austria,
parlando con la dovuta humiltà, e che sempre i suoi maggiori hanno
procurato di mostrarsi degni d’un tanto honore con servire alli antenati di
V.M. sì come il supplicante per lo spazio di trent’anni ha continuato questo servitio in ambasciate
a tutti i Prencipi d’Italia più volte, per negotij gravissimi
particolarmente nelle correnti ,guerre d’Italia, con consumar molto del suo, e nella Campagna appo il duca di Feria a
tutte sue spese, come anche di presente serve in tutto ciò, che li viene
incaricato. Per tanto:
Supplica la M.V. restar servita commandare, che sia provvisto all’indennità sua con farli
restituire il suo mercato, commandando che si possano condurre li grani, et
ogni sorte di merce liberamente senza pagar datio, ne gabella al mercato di
Maccagno, conforme al suo privilegio, e risarcirlo de danni patiti sin al
tempo presente, overo che li sia data la ricompensa in modo, che per l’entrata
annuale che perde, li sia assegnato fondo equivalente, e per li danni
patiti qualche somma de danari contanti, che per il restante piglierà quello,
che sarà più commodo all’hacienda di V.M. E così spera.
Da: SANTO MONTI, Compendio cit.
Dal declinare del mercato maccagnese
trassero dunque vantaggio Intra e Pallanza perchè il mercato venne ivi aperto
alternativamente un sabato per paese, mentre quello di Luino legato ai
privilegi concessi ai Mandelli e in posizione più appartata, sopravvisse con
alterne fortune e talvolta stentatamente.
Frattanto il privilegio di tener mercato
era confermato a Giacomo Mandelli e, il 4 luglio 1679 dall’imperatore
Leopoldo, a Giovanni Pietro Mandelli. Costui subito inviava all’imperatore
una supplica per essere risarcito dei danni derivanti dal fatto che il mercato
di Maccagno era quasi fermo (1680).
Il 15 luglio, il conte Giovan Pietro
Mandelli ricorreva contro tale revoca e in settembre il medesimo si dichiarava
disposto a rinunciare al privilegio di tenere il mercato in Maccagno purchè
fosse adeguatamente compensato, ma la questione continuò. Nel 1683 era ancora
aperta e non se ne intravedeva la soluzione.