IL PERIODO AUREO DELLA STORIA MACCAGNESE

Una zecca a Maccagno

MA il privilegio che più di tutti doveva portare in alto il nome dei Mandelli e indirettamente quello di Maccagno Inferiore, fu il diritto di battere moneta, giunto come una nuova regalia che l’imperatore fece ai Mandelli in ricompensa della loro devota fedeltà. Tale autorizzazione era la concessione più alta che si potesse fare ad un Signore e l’ansia di coniare proprie monete fu tale che talvolta non si attese neppure l’uscita del promesso di­ploma imperiale. Anche a Maccagno pare si sia seguita questa irregolarità Nel Corpus Nummorum Italicorum è elencato un tallero d’argento, contraffazione di quello d’Olanda, coniato dai Mandelli l’anno prima della data del diploma. Sette sono i diplomi confermanti il diritto di batter moneta con­cessi ai Mandelli.

Il primo fu rilasciato il 18 luglio 1622 a Giacomo Mandelli da Ferdinando II, il secondo fu dato allo stesso da Ferdinando III il 20 giugno 1637, il terzo fu concesso il 28 giugno 1640 da Ferdinando III a Giovanni Mandelli successo a Giacomo, il quarto fu concesso a Giovanni il 26 luglio 1659 da parte dell’imperatore Leopoldo I° erede del trono di Ferdinando, il quinto diploma venne rilasciato dallo stesso Leopoldo a Giampietro Mandelli figlio di Giovanni il 4 luglio 1679, il sesto fu concesso da Leopoldo I° a Giovan Battista Mandelli successòre di Giampietro il 17 maggio 1685, il settimo fu concesso da Carlo VI a Giovanni Battista il 10 novembre 1716. Due furono i Mandelli che batterono moneta: Giacomo e Giovanni, gli altri, benchè autorizzati, non lo fecero.

I diplomi sono più di uno per l’obbligo, altrove accennato, dì riottenere la conferma del privilegio da ogni nuovo imperatore e per ogni nuovo feudatario. Il  diploma autorizzava... « 0fficinam monetariam fabbricandi, et extruendi cudendique sive cudi faciendi monetam auream argen­team et aeream cuiuscumque generis et, valoris, armorum suorum insignijs et nominis ac cognominis inscriptione signatam... » (Muoni, op. cit., S. Monti Comp. cit.), in altre parole si concedeva di istituire una zecca con la facoltà di battervi monete di qualsiasi genere e valore: d’oro, d’argento, di rame, e di potervi raffigurare il proprio stemma ed incidervi il proprio nome e cognome e motti vari. Naturalmente il diploma ordinava, al solito, che della concessione ne fossero informati Elettori, Principi, tanto ecclesiastici che secolari, Arcivescovi, Vescovi, Duchi, Marchesi, Conti, ecc, e tutti i sudditi del Sacro Romano Impero tanto in Italia quanto in Germania di qualunque grado ecc. Il diritto era trasmissibile agli eredi.

Le monete battute furono parecchie, il Corpus Nummorum Italicorum che è l’opera più completa sulle zecche italiane, ne elenca 67 tipi di Giacomo Mandelli e 9 di Giovanni. Le monete vanno dal 1621 al 1668 anno della morte di Giovanni. Il conte Giacomo impiantava la zecca in un edificio posto sui lato settentrionale della piazzetta prospicente il lago che tutt’ora esiste trasformato nell’albergo della Torre Imperiale, ma dopo qualche moneta battuta direttamente, preferiva dare tale incarico, in appalto, al suo luogotenente Pellegrino Vanni.

Ecco il contratto steso:

CAPITOLI CON LI QUALI PELLEGRINO VANNI PIGLIA IN AFFITTO LA ZECCA DI MACAGNO CORTE REGALE DELL’ILL.m SIG.r CONTE GIACOMO MANDELLI PER ANNI SETTE COMINCIANDO IL  P.rno DI FEBBRARIO 1624.

 

I - Sarà la locazione d’anni sette, quali comincieranno al p.mo febbrario 1624, e per fitto, o sia ecesso (sic) di detta Zeccha, ordigni, ed utensiglij, mobilie, e casa pagherà esso Vanni ducatoni novecento in 3 termini, cominciando a pagare il primo all’ultimo di maggio prossimo, e così successivamente ogni quarto mese, e gli detti mobili, ed utensiglij il detto Zecchiere sarà obligato renderli nel medesimo stato che gli saranno stati consegnati.

Il    - Concede l’Ill.mo Sig.r Conte al detto Zecchiere di poter far battere in detta sua Zeccha doppie e ducatoni alla bontà e peso delle Zecche de Potentati d’Italia senza altra onoranza, e di poter far battere ungari alla bontà e peso di quelli dell’Imperatore Mattias, pagando due p.%

III   - Concede V. S. Ill.ma al detto Zecchiere di poter fare una moneta d’oro e bontà de caratti 12, di peso di danari due, e grani 18, pagando tre pezze p.% ogni cento pezze.

IV   - Concede V.S. Ill.ma al detto Zecchiere di poter far battere tutta la quantità de talleri a bontà di onze 2 e di peso d’onze una, pagando una p.% e per rispetto delli testoni e lire a bontà e peso che rapportano da V.S. Ill.ma con pagarli  3 p.%

V    - Che le stampe, quali si trovano in detta Zeccha, il detto Zecchiere sij obligato a riceverle alla estimazione, e sij obligato pure a restituirle alla estimazione in fine della locazione, restando tenuto V.S. Ill.m ricevere parimente alla estimazione tutte quelle stampe, che per esercizio di detta Zecca occorresse al detto Zecchiere, di far fare, ed incontrarle nelli ultimi pagamenti.

VI   - Che il detto Zecchiere Vanni sij obligato mettere sopra tutte le monete, a quali se li concedono, il nome e cognome di V.S. Ill.ma ed sue arme, e deIl’Ill.ma Sig.ra Contessa sua moglie, intiere et spezzate, come meglio gli parerà per vaghezza di dette monete.

VII - L’Assaggiatore ed Guardia si pagheranno dal detto Zecchiere.

VIII - Che non possi tenere in detta Zeccha persone che non siano catoliche.

IX  - Che in caso di morte, che Dio non voglia, gli suoi Eredi non siano tenuti a perseverare, salvo se così li piacesse, come anco in caso di peste o guerra sij, V.S. Ill.ma (obbligata) farli quel ristauro, che sarà giudicato da confidenti comuni.

X   - Che in evento che le suddette Monete deliberate, ed altre che si delibereranno da V.S. Ill.ma al detto Zecchiere, parlando dell’oro, si trovassero dall’Assaggiatore che calassero in bontà di grani due, ed di peso di grani due, V.S. Ill.ma promete che si possino deliberare al detto Zecchiere, con che però la detta scarsizia vada nagata la metà a V.S. Ill.ma, e l’altra metà resti a beneficio del Zecchiere, ed l’istesso si osservi delle monete d’argento, le quali per rispetto del peso se li admettono quando anche calassero grani cinque li tallari, ed tre li testoni, ed lire.

XI  - Che il Zecchiere ed i suoi operaj e monetarj possino godere, durante detta locazione, di tutte quelle preminenze ed comodi che godono li suoi proprij familiari, concedendoli di più di poter portar d’ogni sorta d’armi proibite e non proibite per tutta la sua giurisdizione, tanto di giorno quanto di notte, con lume e senza lume, come ad essi parerà.

XII - Concede V.S. Ill.ma ancora che qualsivoglia qualità de danari, ori ed argenti mobili ed altri effetti di qualsivoglia sorte di mercanzia, o altri portassero o fossero mandati ed posti in detta Zeccha, non possino in qualsivo­glia maniera, o sotto qualsivoglia pretesto esser trattenuti, sequestrati, esecutati, o impediti a distanza di chi si  sij persona, neanche di V.S. Ill.ma medesima sotto qualsivoglia pretesto o colore; ma che i Padroni d’esse cose ne possino disporre al di lor piacere, ed ad ogni lor volontà, ed il medesimo privilegio vaglia ancora per il Zecchiere, e suoi operarii ed monetarij, salvo in quanto si trovassero debitori a V.S. Ill.ma per virtù della presente capitolazione, anzi locazione, chè in tal caso, potrà passarsi per quella strada gli parerà più onesta e ragionevole ed preservarla di tutte le sudette cose. Si è fatta la presente, e firmata di propria mano dell’Ill.mo Sig. Conte e di detto Pellegrino Vanni,, alla presenza delli sottoscnitti testimonij.

       Sott. Il Conte JACOMO MANDELLI

Sott. Io. PELLEGRINO VANNI

Sott. Io. BERNARDINO CONFALONERO p. testimonio

Sott. Io. DIONIGIO POZZO fui presente testimonio

Sott. Io. BARTOLOMEO CASTELLO fui presente p. testimonio a quanto di sopra si contiene.

(Da: MuoNi, op. cit. e da 5. MoNTI, Comp. cit.)

Uscirono dalla zecca, nel periodo indicato dal contratto, ongari e ducati d’oro e talleri d’argento e certamente un certo numero di sesini e quattrini di rame (non portando essi la data è impossibile stabilire l’anno della loro comparsa). Le monete d’oro e d’argento erano assai ben coniate: bello il dise­gno, buona l’incisione. Doppie d’oro, ducatoni d’argento, talleri d’ar­gento, mezzi ducatoni, soldi d’argento e infine altri ongari, ducati, sesini e quattrini (di rame o di mistura) seguirono negli anni successivi.

Le figure incise sulle monete rappresentavano santi, guerrieri, lo stemma dei Mandelli, l’aquila imperiale, l’effige dei conti, ecc. I santi raffigurati sono 5. Stefano protettore di Maccagno e santo Aloisio protettore dei Mandelli; alcune monete portano la figura della Vergine. I guerrieri sono rivestiti con armature ed impugnano spade ed alabarde. Attorno alle figure corrono iscrizioni (natural­mente abbreviate) che riportano il nome del conte, del luogo, il tipo di moneta, e spesso motti di carattere religioso quali: « Confidens Domino non movetur - In te Domine confi. - Semper speravi in te  Domine. - Auxilio meo a Dominio. - Nisi Dòminus nobiscum, ecc...» Altre scritte rivolgono un deferente omaggio all’imperatore. Attorno alla figura dell’aquila imperiale si trova inciso: « Sub umbra alarum tuarum », accanto all’immagine del conte il nome dell’imperatore, ad esempio: « Ferd. Il Roma Impe. Semper augustus ».

Questi motti non sono originali, correvano comunemente sulle monete del tempo e specialmente su quelle delle zecche minori.

                  

Non sappiamo se il Vanni abbia tenuto la zecca per un periodo superiore ai sette anni e per quanti anni l’officina maccagnese abbia battuto moneta; ma con certezza si sa (vedi il doc. del 1636, riportato più avanti) che i zecchieri maccagnesi furono più di uno. Da una lettera scritta da Giampiero Mandelli nel luglio del 1714, si rileva che l’edificio della zecca era ormai in rovina e senza serramenti.

Monete maccagnesi furono fatte coniare anche altrove. Alcune di esse hanno analogie con monete dei Savoia, specialmente alcuni ducatoni, altre sono simili a quelle di signori di altri stati (ad esempio un soldo del 1623 è una copia di quelli usciti dalla zecca di Lucerna), altri sono contraffazioni di monete milanesi (del quattrino e del sesino in particolare) e del tallero d’Olanda. Il  Muoni vuole che molti quattrini e sesini di Maccagno non siano stati coniati nella zecca del paese perchè vede meno curato il loro stampo rispetto ad altri della zecca madre; il famoso numismatico Kunz nega però che siano stati, come altri vorrebbero, battuti all’estero. Le contraffazioni, oggi ricercate dai numismatici per la loro singolarità, sono monete in apparenza simili a quelle che volevano imitare, ma inferiori alle stesse per un minor contenuto di metallo fine.

I Signorotti approfittarono del diritto di batter moneta per trarre guadagni e fecero circolare monete apparentemente simili a quelle correnti, ma di lega più bassa. Perchè le loro monete avessero corso in uno stato essi dovevano chiedere l’autorizzazione al relativo governo, ma gli uffici responsabili erano riluttanti a rilasciarla perchè temevano speculazioni a danno dell’erario. Richiedevano garanzie, facevano eseguire dai loro zecchieri analisi delle monete forestiere, pubblicavano gride per autorizzare l’ingresso di certe monete e per bandire altre perchè di bassa lega ecc. In quest’ultimo caso ordinavano fossero rimandate fuori dallo stato e consegnate agli zecchieri perchè venissero tagliate, compensando tuttavia i possessori. Le gride minacciavano anche punizioni severissime contro coloro che introducevano monete non autorizzate nel territorio dello stato. Quelle ritirate, se di rame venivano persino cedute ai calderai affinchè se ne servissero per utilizzare il metallo e talvolta se ne imponeva l’acquisto. Anche i Mandelli dovettero ubbidire a tali disposizioni.

Il diploma dell’imperatore riconosceva validità alle monete maccagnesi nel territorio dell’impero purchè fossero del valore e della bontà delle imperiali, ma fuori di quello ci voleva il benestare dei vari governi e dei loro uffici competenti, Giacomo Mandelli dovette stendere più di una richiesta per ottenere che le sue monete fossero accettate nel ducato di Milano che allora apparteneva a Filippo IV re di Spagna, e non furono poche le difficoltà che dovette superare per poter avere la debita autorizzazione.

Dovette sottostare alle condizioni postegli dal Magistrato ordi­nario del ducato che gli impose anzitutto (22 agosto 1625) che le monete dovessero essere della stessa « bontà » di quelle dello stato milanese, di non adoperare per il conio nè l’oro nè l’argento dello stato, ma solo quello importato da stati esteri, dovette dare assicurazione che nella sua zecca non si sarebbero fuse monete d’oro e d’argento delle zecche del re Filippo IV per coniare le locali, dovette inviare campioni delle sue monete affinchè fossero sottoposte ad analisi ecc.